Era da poco entrata la primavera quando tre anni fa,
in un teatro d’Ateneo con soli posti in piedi, un giovane Sydney Sibilia presentava alla platea Davimedia il suo primo film da regista: Smetto quando voglio.
Al centro della storia uno scalcinato gruppo di
ricercatori universitari capitanati da Pietro Zinni, l’ingegnere interpretato
da un’altra vecchia conoscenza della nostra kermesse, Edoardo Leo, che in poco tempo diventa la banda di piccoli
spacciatori più temuta della Capitale, per aver immesso sul mercato una smart drug non ancora dichiarata
illegale. Le cose precipitano quando
l’ingloriosa epopea dei nostri arriva alle orecchie del re delle “piazze” di
Roma, il “Murena”(Neri Marcorè): per Pietro ed i suoi è ora di smettere: ce la
farà l’ingegnere ad essere un buon esempio per il figlio che la sua ragazza,
Giulia (Valeria Solarino), sta per dare alla luce?
Come in un puzzle, Smetto quando vogllio-Masterclass si inserisce perfettamente nella
narrazione fluida del Sibilia, evitando stacchi repentini che avrebbero potuto
lasciar smarrito lo spettatore. Il compito di ricucire il dittico spetta, in
qualche modo, ad un personaggio in particolare: l’ispettore Paola Coletti
(Greta Scarano). La giovane, da sempre in lotta contro il mercato delle smart
drugs, in barba agli avvertimenti dei suoi superiori, propone a Pietro un
accordo: riformare la banda affinché questa stani, per conto della Polizia, il
mercato delle sostanze non ancora dichiarate illegali: alla trentesima sostanza
segnalata, liberi tutti!
Dopo l’iniziale riluttanza eccoli di nuovo tutti:
oltre a Pietro, ci sono anche il chimico Alberto (Stefano Fresi), ora in cura
per uscire dalla dipendenza da droghe, i due campioni di Certamen Giorgio e Mattia (Lorenzo Lavia e Valerio Aprea),
l’antropologo Andrea (Pietro Sermonti), l’economista Bartolomeo (Libero di
Rienzo) e l’archeologo Arturo (Paolo Calabrese); insieme daranno vita ad una, a
tratti tragicomica, breccia di Roma, in nome della libertà, di una vita di prima che, forse, non hanno mai
avuto.
Si
stava meglio quando si stava peggio
dunque?
Non è dato saperlo, anche perché, segnalata la trentesima sostanza, la Polizia ha un’altra richiesta per la banda
dei ricercatori: portarne a casa un’altra, difficile da analizzare e quindi
stanare: il produttore è un misterioso personaggio interpretato da Luigi Lo
Cascio che, siamo sicuri, darà del filo da torcere ai nostri in Smetto quando Voglio- Ad Honorem, ultimo
capitolo della trilogia la cui uscita nelle sale dovrebbe essere stata già
prevista al più tardi per i primi mesi del 2018.
La trilogia creata da Sydney Sibilia è un
potentissimo affresco sul potenziale, sul nostro
potenziale, che a volte tradiamo per fare muro ad un sistema sempre più arido di possibilità, perché
in qualche modo bisogna pure sopravvivere: ecco perché i ricercatori nel primo
film iniziano a spacciare; essi
intravedono una luce in fondo al tunnel di una precarietà routinaria ed
asfissiante, checché il Gasparri di turno ne possa twittare.
Nel secondo film il potenziale sembra ritrovare la strada maestra, ingaggiando i nostri in una spesso anacronistica lotta
per la redenzione; ma, si sa, ricominciare non è mai facile, specie se non sai
da dove farlo.
E’ anche un altro però l’ingrediente che, a mio
avviso, sancisce il successo della “creatura” di Sibilia: quella costante,
affamata idea di fuga.
L’ideale “fuga da se stessi” del primo film, si
trasforma nel secondo in una fuga vera e propria, fisica: la tanto conclamata e
temuta (?), fuga di cervelli; in
questo senso va secondo me letto l’ingresso nella banda dei personaggi di Marco
Bonini e Giampaolo Morelli: l’uno è infatti un fine anatomista che accende
risse in un mercato di Marrakech, l’altro è un ingegnere che sfrutta il suo
potenziale per preparare colpi di Stato in tutto il mondo.
RICCARDO
MANFREDELLI
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