Negli anni molti sono
stati gli esordi cinematografici battezzati da DLiveMedia. L’ultimo, solo in ordine di tempo, è quello di Alessandro Rak, che appena due anni fa presentava alla nostra
platea il suo esordio nel cinema di animazione con L’arte della felicità.
Il film ha avuto un
notevole e di certo inaspettato successo che ha spinto Rak e le maestranze
della sua factory, Mad Enterteinment, a
tornare in studio per lavorare ad una nuova creatura di celluloide, ancora una
volta nel segno di un sentito e radicato omaggio alle proprie origini. Il
risultato, “Gatta Cenerentola” al
cinema dal 14 Settembre, ha conquistato la 74^ edizione del Festival del Cinema
di Venezia ed è, notizia di questi giorni, tra i film in corsa per entrare nella
cinquina per l’assegnazione del Premio Oscar al miglior film straniero.
Sono molti gli spunti
di riflessione offerti da questa pellicola, dei quali in questo articolo
speriamo di offrire un’analisi quanto più calibrata possibile. Valga come
premessa che il film ha un potentissimo sostrato letterario provenendo dalla
novella omonima contenuta nel Pentamerone di Giovan Battista Basile. E’ chiaro
però, che pensando a Cenerentola la prima cosa che viene in mente ai più è l’immaginario
Disneyano. Entrambe le riduzioni, è vero, condividono la presenza di un’eroina vessata
dalla sua matrigna e da un gruppo di eterogenee sorellastre ma, forse, nulla di
più.
La vera Cenerentola di
Rak è Napoli, potenzialmente pronta a spiccare il volo, come vola l’ingegno
dell’inventore Vittorio Basile, che ha la voce di Mariano Rigillo, il quale sogna un futuro roseo per la città, un
posto al sole in cui scienza e memoria possano convivere senza più farsi finalmente
la guerra, ma che poi deve arrendersi alla terribile progettualità di ‘O rre (Massimiliano Gallo), che invece
non vede per Napoli alcuna possibilità di redenzione, nessun altro colore, se
non il bianco della cocaina, che estrae con una formula magica e sconosciuta
dalle scarpette di cristallo da lui stesso costruite, ed il nero della monnezza.
La musica, in questo
senso, funge da efficacissimo predicativo delle intenzioni dei personaggi: in Napule, canzone scritta dai Virtuosi di San Martino, ‘o rre canta
la parte fuligginosa della città, quella sfatta di cui la distrutta nave
Merida, teatro della storia, diventa terribile premonizione. Nella canzone l’odore del mare cantato altrove da Pino
Daniele viene sostituito dall’insopportabile olezzo della spazzatura; il caffè,
che sanno fare addirittura in carcere come racconta un onnisciente De Andrè al
suo compagno di cella Don Raffaè, nella
città di ‘o rre non puoi prenderlo se prima non hai trovato un tossico che per
due euro ti parcheggi, si intende abusivamente, la macchina. Che fine hanno
fatto le voci d’e criatur? vi
chiederete: i bambini, i ragazzi dei vicoli non giocano più, perché troppo
impegnati a fare rapine un po’ più in là.
C’è qualcuno però, che
vuole restituire alla città tutto quello che, naufragando, si trova ora nelle
viscere del mare: si tratta del poliziotto Primo
Gemito (che parla con la voce di Alessandro
Gassmann) che prende a cuore il destino della nave e della figlia di
Basile, Mia, “la gatta”, traendola in salvo prima che le atmosfere noir che
caratterizzano le ultime sequenze del film, esplodano irrimediabilmente.
Tra i doppiatori
speciali di questa favola nera made in
Naples, c’è anche una vecchia amica della nostra kermesse. Maria Pia Calzone, presta qui infatti
la voce ad Angelica Carraturo, la matrigna, prima moglie di Vittorio, poi
Penelope tradita da ‘o rre. Forte e sanguigna come un altro celeberrimo
personaggio della sua interprete, anche lei alla fine troverà la forza di
spiccare il volo, ad ogni costo.
RICCARDO
MANFREDELLI
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